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2. Dalla seconda polemica del 1850 al “Dimittantur” del 1854

2. Dalla seconda polemica del 1850 al Decreto “Dimittantur” della Congregazione dell’Indice del 1854
 
La seconda polemica, il decreto della Congregazione dell’Indice del 1850 e la seconda imposizione del silenzio del 1851

Le opposizioni alle dottrine rosminiane e le accuse al Rosmini stesso di errori contro la fede, dopo il periodo romano, si fecero più ardite e forti.
Fin dal gennaio 1848 era uscito un opuscolo anonimo intitolato: Postille alle dottrine rosminiane; l’autore venne facilmente individuato: era il padre Antonio Ballerini, gesuita. Sempre del medesimo, ma con uno pseudonimo, era uscita nel 1850 a Milano un’opera in due volumi intitolata: Principi della scuola rosminiana esposti in lettere familiari da un prete bolognese. A questi due testi si aggiunse nel 1851 un poderoso saggio del conte Avogadro della Motta sul socialismo. L’influsso di questi scritti antirosminiani sui vescovi fu notevole: si chiedeva a Pio IX al più preso una condanna definitiva delle dottrine rosminiane.
Pio IX commise nel 1850 alla Congregazione dell’indice il compito di esaminare le “Postille” e di giudicare delle accuse contenute in esse. Il 19 dicembre 1850 si ebbe il rescritto della Congregazione generale col quale le “Postille” vennero rigettate riconoscendone la falsità; ma non furono proibite perché, a detta di alcuni, nessuno le aveva denunciate, o perché, a detta di altri, non vi si riscontrarono i caratteri di libello infamante.
Il livore delle accuse però, invece di diminuire crebbe di tono e divenne così aspro e virulento da indurre Pio IX nei primi mesi del 1851 a rinnovare ad ambedue le parti il decreto del silenzio che già il suo predecessore Gregorio XVI aveva imposto nel 1843.

L’esame delle opere di Rosmini e il decreto «Dimittantur opera omnia» del 1854

Pio IX intendeva arrivare a risolvere definitivamente l’aspro contrasto e non si accontentò di imporre il silenzio; a metà del 1851 affidò alla Congregazione dell’Indice il compito di esaminare le “Lettere bolognesi” con l’ “Appendice” del Della Motta e tutte le opere del Rosmini. Scelse lui stesso sei consultori a cui successivamente ne aggiunse altri due; l’esame si protrasse per quattro lunghi anni.
Il 3 luglio del 1854 si tenne la Congregazione Generale con la presenza di tutti i consultori e di otto cardinali; il papa stesso, fatto straordinario, volle presiederla. Tutti, meno uno, convennero che le opere di Rosmini erano immeritevoli di censura, ma non si trovò concordia in merito all’esprimere una formale condanna dei libelli antirosminiani. Dopo cinque ore di discussione, raccolti tutti i pareri, il papa decise di riservare a sé il giudizio definitivo sulla questione.
Dopo diverse esitazioni, l’intenzione di scrivere un breve pontificio, od una pubblicazione aperta della sentenza, tenuto conto dei vari aspetti della situazione e della somma delicatezza dell’affare, Pio IX si risolse nel far redigere dalla Congregazione, secondo la sua mente, la sentenza di «dimissione» dalle accuse e di farla comunicare “in secretis”, e non pubblicamente, alle due parti.
Il Decreto noto come «Dimittantur» fu comunicato a voce al procuratore di Rosmini a Roma, don Bertetti, il 10 agosto e poi ai primi di settembre don Bertetti lo ebbe per iscritto, in esso venivano assolte le opere di Rosmini, ma non venivano condannati i libelli diffamatori.

 


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